I vertici dell’YPG (Unità di Protezione del Popolo) hanno comunicato che i consiglieri militari dell’organizzazione lasceranno Manbij, roccaforte curda situata nel nord della Siria. L’annuncio arriva il giorno dopo il raggiungimento di un’intesa tra Turchia e Stati Uniti sul ritiro dalla città del gruppo armato curdo-siriano, considerato dal governo turco un’organizzazione terroristica al pari del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan).

Dunque l’accordo tra Ankara e Washington esclude la possibilità di un assedio alla città da parte delle forze armate turche, azione che negli ultimi mesi il presidente turco Recep Tayyip Erdogan aveva più volte minacciato dopo la presa di Afrin, altra città controllata dall’YPG, a metà dello scorso marzo. Viene così scongiurato un possibile scontro tra truppe turche e i circa 2.000 soldati americani schierati in questo quadrante della Siria al fianco delle SDF (Forze Democratiche Siriane), la coalizione arabo-curda a cui l’YPG fornisce circa l’80% degli effettivi (in totale circa 30mila).

Registi dell’accordo di Manbij sono stati il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu e il segretario di Stato americano Mike Pompeo. I due si sono incontrati il 4 giugno a Washington dove hanno concordato una road map per la messa in sicurezza della città. Il giorno dopo, il 5 giugno, intervenendo a un evento nella provincia meridionale di Antalya Cavusoglu ha precisato che l’opera congiunta di USA e Turchia a Manbij inizierà tra dieci giorni e potrebbe durare circa sei mesi.

Il “modello” che verrà applicato per la ricostruzione della città indicato da Cavusoglu sarà lo stesso che, nei piani di Ankara, dovrebbe poi essere utilizzato per liberare dai curdi anche Raqqa, Kobane e le altre aree controllate dall’YPG. «In questa prima fase i terroristi dell’YPG si ritireranno da Manbij, consegneranno le armi e si trasferiranno a est dell’Eufrate, ma ciò non significa che accetteremo che loro rimangano lì a lungo» ha precisato Cavusoglu, facendo capire che la campagna militare avviata dalla Turchia per “bonificare” il nord della Siria dalla presenza curda non si ferma qui.

 

Gli attori in campo

Nonostante il patto tra USA e Turchia Manbij, e più in generale tutto il nord della Siria confinante con la Turchia, restano dunque un focolaio del conflitto siriano pronto a esplodere. L’intera area è infatti oggetto di contesa tra più attori: c’è l’esercito di Assad sostenuto dalla Russia, ci sono le forze armate turche che appoggiano gruppi di ribelli siriani, ci sono consiglieri militari USA che cooperano con le milizie curde, senza dimenticare le ultime sacche di resistenza di Al Qaeda e ISIS. A ciò vanno aggiunte altre forze esterne che non hanno alcuna intenzione di lasciare la Siria senza ottenere nulla in cambio, a cominciare dalla Francia. A fine marzo Macron aveva provato a fare un passo in avanti in direzione di Manbij ospitando a Parigi una delegazione delle SDF, fatto che ha mandato su tutte le furie Ankara.

 

I rapporti tra Turchia e USA

Il ritiro dell’YPG da Manbij arriva inoltre in un periodo particolarmente teso dei rapporti tra USA e Turchia. Nelle ultime settimane Ankara si è schierata apertamente contro l’apertura dell’ambasciata USA a Gerusalemme, appoggiando la causa dei «martiri palestinesi» uccisi dai soldati israeliani lungo la linea di demarcazione con la Striscia di Gaza. A ciò si aggiungono la condanna a 32 mesi di carcere comminata da un tribunale americano nei confronti dell’ex dirigente della banca statale turca Halkbank, Hakan Atilla, accusato di aver violato le sanzioni contro l’Iran, e l’acquisto della Turchia di sistemi missilistici S-400 dalla Russia. Consegnando Manbij a Erdogan adesso l’Amministrazione Trump prova a rimettere ordine nei rapporti con il partner NATO, con buona pace per gli alleati curdi. Basterà?