Tregua violata a Tripoli. Si combatte nelle periferie meridionali a colpi di artiglieria pesante e momenti di guerriglia urbana. Come volevasi dimostrare, lo sforzo delle Nazioni Unite è stato inane ed è valso il tempo di una pausa per rifornire le parti di nuove armi e giubbotti antiproiettile per proseguire l’avanzata. Da una parte, le milizie ancora fedeli al governo del premier tripolino Fayez Al Serraj, dall’altra la Settima Brigata di Tarhuna, oggi ritenuta la longa manus del generale Haftar.

Quest’ultimo, come noto, desidera che la capitale libica resti ancora a lungo nel caos, al fine di poter emergere quale risolutore della situazione. Ma per farlo ha bisogno che non siano direttamente le sue forze a violare la tregua. Del resto, ci hanno pensato le milizie fedeli a Serraj a riaccendere gli scontri nelle ultime notti, quando hanno iniziato a bombardare alcune postazioni nemiche a sud di Tripoli.

Se da un lato il portavoce dell’Esercito fedele al generale Khalifa Haftar, Ahmed al Mismari, ha assicurato che “Non ci sono nostre forze che combattono al momento a Tripoli”, è pur vero che di settimana in settimana crescono le adesioni per il partito di Haftar e accordi segreti vengono stretti tra soldataglie pronte a dare la spallata al governo Serraj.

Dunque, la battaglia per Tripoli è ancora nel vivo e una soluzione diplomatica che conduca a una pace stabile e a nuove elezioni è ancora molto lontana dal realizzarsi. Il timore è che di qui alla metà di novembre, quando è previsto in Sicilia un vertice “risolutivo” sponsorizzato dal governo di Roma, la situazione sia peggiorata ulteriormente.