Almeno 39 morti e circa 100 feriti. È questo l’ultimo bilancio fornito dal ministero della Salute libico sugli scontri che da diversi giorni imperversano nei sobborghi meridionali di Tripoli, capitale della Libia ostaggio delle milizie armate.

Situazione critica anche per la delegazione diplomatica italiana presente nella città. All’alba di sabato 1 settembre nel quartiere di Dahra un colpo di mortaio ha centrato il quarto piano dell’Hotel Al Waddan ferendo tre persone. Ma il vero obiettivo dell’attacco, secondo diversi giornali libici tra cui Libya Times, era la sede della nostra ambasciata, distante poche decine di metri dall’hotel. Un altro colpo di mortaio avrebbe invece mancato gli uffici del premier del Governo di Accodo Nazionale (GNA) sostenuto dalle Nazioni Unite Fayez Al Serraj, situati lungo Al-Sikka Road.

Occhi puntati sulla Settima Brigata. Si tratta di una milizia proveniente da Tarhuna, località situata 65 chilometri a sud-est rispetto a Tripoli appartenente al clan Kani. Fonti attendibili hanno però parlato anche del coinvolgimento di altre milizie basate nelle caserme di Hamzah, a ovest rispetto al centro della capitale. Secondo le autorità locali, razzi sono caduti nei quartieri di Ben Ashour, Girgarish e Ghoat Shaal, Airport Road, Khalat al-Furjan e Salah al-Deen. L’obiettivo di queste milizie è chiaro: fare pressione sul debole governo di Al Serraj per avere maggiore voce in capitolo nella spartizione del potere nella capitale.

L’escalation che ha spinto il GNA a chiudere per 48 ore l’aeroporto internazionale di Mitiga e a dirottare i voli sullo scalo di Misurata. La tensione continua però a essere altissima come conferma l’annuncio della Settima Brigata di Tarhuna di non voler rispettare il cessate il fuoco proclamato dal GNA.

«La tensione tra i vari gruppi presenti a Tripoli – scrive l’analista Michela Mercuri, esperta di Nord Africa – è addebitabile a diversi motivi. In primo luogo il calo dei flussi migratori provenienti dalle coste tripoline – che garantivano introiti ad alcuni gruppi presenti nell’area – ha tagliato una buona fetta della torta da cui mangiavano molte milizie, saziando i loro “appetiti economici”. Detta in altri termini, tenere a freno i gruppi armati con i proventi dei traffici illegali ora è molto più difficile e questo può costituire un rischio per la tenuta del governo a marchio Onu. Prova ne sia che, prima, la Settima brigata, una milizia di stanza nelle città di Tarhuna, a sud della capitale, si è mossa contro formazioni fedeli a Serraj accusandole di essere corrotte; poi, come riportato da alcune agenzie, Salah Badi, controversa figura dell’operazione Alba libica – che nel 2014 ha costretto il neo-eletto governo a rifugiare a Tobruk – ha diffuso un messaggio su Facebook dicendosi pronto ad entrare a Tripoli alla guida della brigata al Samoud. Come recita un vecchio detto popolare “la fame fa uscire il lupo dalla tana” e così è stato».

Intanto il primo settembre la Farnesina ha diffuso un comunicato in cui ha condannato quanto sta accadendo a Tripoli, unendosi alla presa di posizione assunta da Francia, Regno Unito e Stati Uniti. «Questi tentativi di indebolire le legittime autorità libiche e ostacolare il corso del processo politico – si legge nella nota congiunta – sono inaccettabili. Esortiamo tutti i gruppi armati a cessare immediatamente ogni azione militare e avvertiamo coloro che compromettono la sicurezza a Tripoli o altrove in Libia, che saranno ritenuti responsabili di tali azioni. Riaffermiamo il nostro forte e costante sostegno al piano d’azione delle Nazioni Unite, come ricordato dal Presidente del Consiglio di Sicurezza il 6 giugno e dal Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite Ghassan Salamé il 16 luglio. Invitiamo tutte le parti ad astenersi da qualsiasi azione che possa mettere in pericolo il quadro politico stabilito con la mediazione dell’ONU, e pienamente sostenuto dalla comunità internazionale».

Alla luce di quanto si sta verificando nella capitale libica, e di fronte a una presenza sempre più ingombrante in città di attori esterni come la Francia di Emmanuel Macron, insistere sul supporto all’ONU e al governo di Al Serraj senza dotarsi di un piano di riserva è però una strategia destinata al fallimento. Lo dimostra una notizia pubblicata dal giornale libico Libya Herald secondo cui Mohamed al-Haddad, nominato da Al Serraj Comandante Supremo dell’Esercito Nazionale, sarebbe stato rapito nella sua città natale di Misurata. Segnale inequivocabile del fatto che nel caos di Tripoli il premier appoggiato dall’Italia è sempre più solo.