La dialettica politica dell’odierna Turchia, quella cioè tratteggiata dal presidente Recep Tayyip Erdogan e dal suo partito AKP, sta diventando sempre più un caleidoscopio di spinte nazionaliste e invettive contro i partner internazionali, condita da una propaganda sfrontata e da un proselitismo religioso senza precedenti.
Da anni a questa parte, tuttavia, il Paese si stringe sempre più al suo leader e non sembra temere il giudizio negativo e le ripetute condanne che arrivano dall’estero: Erdogan, infatti, è stato riconfermato presidente col 52% dei voti il 24 giugno passato, dopo che già lo scorso anno era uscito vittorioso dal referendum costituzionale che ha conferito al presidente della repubblica poteri immensi per una democrazia.
Spesso, comunque, la Turchia si ritrova al centro di aspri scontri diplomatici e scandali mediatici, vuoi per l’aggressività militare del governo di Ankara in Medio Oriente, vuoi per i casi di corruzione dei suoi funzionari pubblici, vuoi per la crescente repressione contro le opposizioni interne. Senza considerare i pessimi rapporti con la popolazione curda.
Sorvoliamo qui dello scambio al vetriolo di questi giorni tra Erdogan e il premier israeliano Benjamin Netanyahu – che si sono reciprocamente accusati di razzismo, autoritarismo e diritti universali calpestati – perché esso non rappresenta una novità.
Per capire quanto la questione turca incida nel profondo delle politiche dei governi d’Europa, invece, si può citare un caso diplomatico piuttosto originale, che vede oggi Ankara al centro di alcune “controversie sportive” in Germania.
Il caso Ozil
Il fatto risale a qualche giorno fa, quando il famoso calciatore tedesco di origini turche Mesut Ozil ha annunciato la sua intenzione di lasciare la nazionale di calcio tedesca. Motivo? Una lunga polemica iniziata con una fotografia scattata lo scorso maggio a Londra, dove compariva insieme al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.
Nella foto incriminata, Mesut Ozil dell’Arsenal e Ilkay Gundogan del Manchester City – entrambi calciatori di origine turca, naturalizzati tedeschi e diventati campioni del mondo nel 2014 – si erano lasciati immortalare mentre scambiavano sorrisi e magliette autografate con il leader turco, che non ha mai nascosto la sua passione per il calcio (è stato persino un giocatore della seria A turca), durante una visita nella capitale britannica.
Quell’immagine aveva scatenato severe critiche in Germania, tali per cui era dovuta intervenire persino la Cancelliera Angela Merkel, grande tifosa della nazionale tedesca, ma al tempo stesso consapevole del peso politico dei cittadini di origine turca in Germania: la comunità turca è infatti la più numerosa nel Paese e conta ben 2,6 milioni di immigrati (per dire, gli italiani in Germania sono 600 mila in totale) di cui 1,2 milioni possono votare in Turchia, con Berlino e ancor più Colonia che rappresentano le più grandi città turche in Europa e nel mondo.
I due calciatori – più Cenk Tosun dell’Everton – furono bonariamente bacchettati dalla Cancelliera, ma poi ufficialmente redarguiti dal capo della Federazione calcistica tedesca (DFB), Reinhard Grindel, che commentò così l’episodio: “La DFB rispetta la situazione particolare dei nostri giocatori le cui famiglie hanno un passato da migranti, ma il calcio e la DFB difendono dei valori che Erdogan non rispetta in maniera sufficiente”.
La coda polemica è durata fino all’annuncio di Ozil che, in una lunga lettera affidata ai social network, ha annunciato il ritiro dalla nazionale, incolpando la stampa tedesca e biasimando i vertici della federazione calcistica, rei di alimentare un clima d’odio nei suoi confronti e di considerarlo un vero tedesco solo quando vince, mentre un immigrato turco musulmano quando perde.
La questione migratoria
Ecco, dunque, i nodi centrali della questione. Erdogan non rispetta i valori in cui si riconosce l’Europa, mentre Ozil è un cittadino tedesco solo se vincente.
Questo clima riflette bene il peso politico che la questione migratoria ha nel continente, e in Germania in particolare. Il governo di Berlino, infatti, non riesce a uscire dall’impasse della Grosse Koalition e del dover negoziare vita natural durante con i colleghi-avversari ogni decisione politica, specie su questioni delicate come appunto l’immigrazione
La questione Ozil ripropone plasticamente lo stesso schema, con la ministra socialdemocratica (SPD) della Giustizia, Katarina Barley, che descrive il giocatore come vittima dell’intolleranza e del fascismo: “È un segnale d’allarme se un calciatore tedesco si sente respinto da un sentimento razzista e non più rappresentato dalla sua federazione”, mentre il Commissario all’Integrazione del governo federale, Annette Widmann-Mauz in quota CDU, biasima il campione sostenendo che “con tutta la comprensione per le sue radici familiari, i giocatori della nazionale non devono farsi strumento di fini elettorali“.
Ma sono soprattutto le parole di Ozil a pesare come un macigno. Quanto scrive al capo della federazione calcistica via social è infatti una pietra tombale sul rasserenamento del clima: “Reinhard Grindel, sono deluso ma non sorpreso dalle tue azioni. Nel 2004, quando eri un membro del Parlamento tedesco, dicesti che il ‘multiculturalismo è in realtà un mito e una eterna bugia‘ votasti contro una legge per la doppia nazionalità e per punire la corruzione, e dicesti che la cultura islamica era diventata troppo radicata in molte città tedesche. Questo è imperdonabile e non si può dimenticare”.
Ovvia l’esultanza dei nazionalisti turchi, che plaudono al gesto del “loro” eroe sportivo. C’è quanto basta perché le diplomazie dei due Paesi restino ai ferri corti, specie dopo che Berlino ha vietato a Erdogan di organizzare appuntamenti elettorali per quel 1,2 milioni di turchi residenti in Germania che votavano per le presidenziali in Turchia, e dopo che Ankara ha fatto sapere in risposta di non avere alcuna intenzione di scarcerare i giornalisti con passaporto tedesco arrestati negli ultimi tempi.
Insomma, lo “scivolone sportivo” costerà caro alla pace sociale tedesca e, per restare in metafora, rappresenta un’entrata a gamba tesa nei rapporti diplomatici tra i due Paesi.
Il caso Ozil, peraltro, si aggiunge ai già difficili giorni in cui la Germania, dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio 2016, ha dato asilo a ex militari e funzionari turchi accusati di aver avuto un ruolo nell’organizzazione del golpe.
Oltre a ospitare da tempo alcuni membri del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), che il governo turco considera un gruppo terroristico, e a indagare ufficialmente contro la Türkisch-Islamische Union der Anstalt für Religion, branca tedesca dell’istituzione statale turca che promuove e difende l’Islam, all’interno della quale alcuni suoi dirigenti sono accusati di essere agenti segreti con lo scopo di monitorare le attività sospette dei turchi di Germania.
Si aggiungano il riconoscimento del genocidio degli armeni, votato dal parlamento tedesco nel giugno 2016, e la proibizione di qualsiasi propaganda pro governativa durante le finestre elettorali turche, e si capisce come mai Ankara si mostri sempre più aggressiva nei confronti di Berlino.
A farne le spese, però, in fondo non saranno i cittadini turchi e curdi di Germania, le cui tutele crescenti sono una garanzia per tutti. A pagarne le conseguenze più di tutti potrebbe essere la Turchia stessa, sempre più lontana da quel sogno coltivato a lungo di fare ingresso nell’Unione Europea. Un sogno che si allontana ogni anno di più e che, almeno finché Erdogan sarà al potere, non si concretizzerà.
articolo pubblicato sulla rubrica Oltrefrontiera di Panorama.it
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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