I Paesi Bassi e l’Australia hanno accusato la Russia di essere responsabile dell’abbattimento del volo MH17 della Malaysian Airlines, avvenuto il 17 luglio del 2014 nei pressi di Donetsk, nell’est dell’Ucraina, in un’area controllata dalle forze separatiste filorusse. L’aereo stava percorrendo la tratta Amsterdam-Kuala Lumpur. A bordo c’erano 298 persone tra passeggeri e membri dell’equipaggio, tutti morti. Per due terzi si trattava di cittadini di nazionalità olandese.

Secondo il team investigativo internazionale JIT (Joint Investigation Team), che da quel giorno sta indagando su quanto accaduto nei cieli del Donbass, l’aereo sarebbe stato abbattuto da un missile lanciato da un sistema missilistico “Buk”, utilizzato dall’esercito russo. Il missile sarebbe partito da una postazione della 53esima brigata missilistica antiaerea russa, situata nella città di Kursk, nella parte occidentale della Russia.

Dopo queste nuove accuse, i governi olandese e australiano hanno intimato Mosca a decidersi finalmente a collaborare alle indagini. Una stoccata è arrivata anche da Washington. «È tempo che la Russia riconosca il suo ruolo nell’abbattimento di MH-17 e che interrompa la sua campagna di disinformazione», ha dichiarato la portavoce del dipartimento di Stato americano Heather Nauert.

Mosca, però, non è affatto intenzionata a cambiare la linea tenuta finora. Il Cremlino non accetta i risultati dell’indagine poiché non gli è mai stato permesso di prenderne parte, ha dichiarato dal portavoce del presidente Putin Dmitrij Peskov. Come era prevedibile, dunque la versione del governo russo non cambia di una virgola. In questi quattro anni la Russia ha sempre affermato di non essere coinvolta in alcun modo nell’accaduto, negando l’attendibilità delle prove fotografiche fornite dal team investigativo JIT, secondo le quali suoi sistemi missilistici sarebbero stati schierati nell’est dell’Ucraina nei territori controllati dai separatisti.

Anche il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha reagito alle accuse di Paesi Bassi e Australia paragonandole a quelle sferrate contro Mosca dal Regno Unito per il tentato omicidio dell’ex agente dei servizi segreti russi Sergei Skripal a Salisbury. «Se i nostri partner hanno deciso di speculare su questo caso per raggiungere i loro obiettivi politici, quando si tratta invece di una grave tragedia umana e della morte di centinaia di persone, lascio tutto alle loro coscienze», ha detto Lavrov.

Ma non solo. Sempre secondo il Cremlino le accuse mosse dal JIT si baserebbero esclusivamente sulle prove fornite dal gruppo investigativo britannico Bellingcat. Ma molte di queste prove sarebbero prive di fondamento, a cominciare dall’affermazione secondo cui il missile che ha colpito il volo MH17 sarebbe partito da territorio russo. Fonti russe sostengono invece che il punto del lancio sia localizzato in prossimità del villaggio di Zaroshchenske, nel distretto di Shakty, che nell’estate del 2014 era sotto il controllo delle truppe ucraine. Mosca sostiene inoltre che di alcuni dei sistemi missilistici “Buk” incriminati (circa 20) si sarebbe appropriato l’esercito ucraino dopo il crollo dell’URSS nel 1991.

Le accuse di Paesi Bassi e Australia aprono comunque adesso a nuovi possibili scenari. Se finora il team JIT aveva indagato esclusivamente nel tentativo di stabilire responsabilità criminali individuali, adesso il processo potrebbe passare dalle mani dei giudici olandesi a quelle dei giudici di un tribunale internazionale, il che trascinerebbe nel banco degli imputati direttamente il governo russo. Si tratta di un epilogo che però Mosca ha finora sempre evitato, facendo valere il suo potere di veto in sede del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Questo ennesimo scambio di accuse complica ulteriormente le già pessime relazioni tra Mosca, gli Stati Uniti e l’Europa. Dopo le sanzioni inflitte al Cremlino per l’annessione della Crimea, dopo l’inasprimento delle stesse per la sua presunta interferenza nelle elezioni americane del 2016, dopo l’espulsione di decine di diplomatici russi per il caso Skripal, adesso un nuovo caso rischia di far deragliare definitivamente i rapporti tra i due blocchi. Difficile però credere che questa nuova escalation di tensioni porterà alla verità su quanto accaduto la sera del 17 luglio 2014 nei cieli del Donbass.