Il letargo algerino

Da più di un mese ormai il Presidente algerino Tebboune si trova in un ospedale tedesco e il Governo si dimostra reticente sul suo stato di salute. Nel frattempo, l’Algeria è attraversata da una profonda crisi che rivela l’incapacità della classe dirigente di proporre soluzioni concrete e di conquistare la fiducia del proprio popolo.

1. UN PRESIDENTE SCOMPARSO E UN REFERENDUM FALLIMENTARE

Quella “nuova Algeria” che il Presidente Tebboune aveva promesso di creare nel dicembre 2019 sembra ancora lontana dal realizzarsi, soprattutto perché è proprio lui a mancare in questo momento. Il 28 ottobre il capo di stato algerino è stato infatti trasferito in un ospedale tedesco dopo aver contratto il coronavirus. Da allora, le informazioni sulle condizioni di salute da parte dell’ufficio stampa della Presidenza sono state rare e contraddittorie. L’ormai prolungata assenza del Presidente sta paralizzando diverse misure che il governo avrebbe dovuto assumere in questo mese. In particolare, a restare momentaneamente congelati sono i risultati del referendum, svoltosi il 1° novembre, che Tebboune aveva fortemente voluto e che ne ha de facto determinato la debacle. Benché infatti sulla carta il progetto di revisione costituzionale sia stato approvato con il 66,8% dei voti, solo il 23,7% della popolazione si è recato alle urne: un astensionismo da record che conferma la sfiducia del popolo nei confronti del nuovo esecutivo. Nel frattempo, però, nella distanza fisica e politica creatasi tra il Presidente e il suo popolo, la proliferazione di crisi che attraversa l’Algeria rischia di esacerbare una situazione già fortemente critica dal punto di vista sociale, economico e securitario.

Fig. 1 – Uno scrutatore ai seggi elettorali mostra una scheda durante lo spoglio del referendum, 1 novembre 2020.

2. CRISI SANITARIA ED ECONOMICA

Mentre il Presidente è lontano dal Paese, Algeri si trova ad affrontare tensioni dal punto di vista politico ed economico. La seconda ondata di Covid-19 ha colpito anche l’Algeria, dove dall’inizio di novembre i numeri dei contagi sono ricominciati a salire. La situazione critica negli ospedali del nord del Paese ha costretto le autorità a reintrodurre il coprifuoco e una serie di restrizioni agli esercizi commerciali da metà novembre. Alla luce degli ultimi sviluppi, un ulteriore inasprimento della crisi socioeconomica innescata dalla pandemia si prefigura dunque come uno scenario molto probabile. La crisi sanitaria ha infatti colpito duramente il settore degli idrocarburi, risorsa da cui il Paese dipende quasi completamente, provocando perdite fino a un miliardo di euro nelle imprese pubbliche, ma le misure economiche emergenziali non sembrano rientrare nei progetti dell’attuale Governo. In questi mesi il Presidente ha infatti più volte rifiutato di richiedere l’accesso agli aiuti finanziari stanziati per la crisi economica attuale dal Fondo Monetario Internazionale. In diverse occasioni Tebboune ha ribadito come accumulare debito esterno comprometta la sovranità nazionale, preferendo “chiedere in prestito ai cittadini algerini piuttosto che al FMI o a Banca Mondiale”. Al momento, grazie al suo ridotto debito estero, l’Algeria potrebbe ottenere un credito sufficiente dalle istituzioni internazionali e gli aiuti finanziari risultano ora l’unico tipo di intervento capace di evitare il collasso economico del Paese. La mancata volontà del Governo di scendere a compromessi, tuttavia, rende un aggravemento della crisi economica una scenario molto probabile.

Fig.2 – Operazioni di sterilizzazione ad Algeri, novembre 2020.

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3. NO MAN’S LAND

Per un sistema istituzionale come quello algerino – che attribuisce al Presidente vaste prerogative in ambito politico, economico e securitario – l’assenza di Tebboune comporta la sospensione completa delle attività governative. Mentre il Paese affronta una delle più gravi crisi sistemiche degli ultimi anni, le istituzioni rimangono congelate in attesa del suo ritorno, e anche se avrebbero gli strumenti per sciogliere questa impasse, lo Stato sembra scegliere l’inerzia. Il Governo potrebbe decidere infatti di applicare l’articolo 102 della Costituzione, che permette la nomina di un presidente ad interim qualora il capo di stato si trovi nell’impossibilità fisica di esercitare le proprie funzioni oltre i 45 giorni. Dal Governo, tuttavia, tutto tace, alimentando così la sfiducia generale nei confronti di un’élite politica che, nonostante le eclatanti promesse di cambiamento dell’ultimo anno, rimane arroccata nei suoi palazzi.

Le dinamiche politiche attuali mettono quindi in luce non solo un sistema istituzionale disfunzionale che grava sulla situazione del Paese, ma anche una profonda crisi politica che le misure e le manovre dell’ultimo anno non sono riuscite a risolvere e superare. Con il referendum costituzionale del 1° novembre Tebboune aveva cercato di neutralizzare il movimento Hirak perseguendo un processo di riforme graduali ma lo scetticismo generale, espresso alle urne, ne ha decretato il fallimento. La proposta di riforme è apparsa a molti come un déjavu del “sistema Bouteflika”, che è riuscito a mantenere il potere per vent’anni costruendo abilmente una facciata democratica senza apportare cambiamenti sostanziali. La maschera democratica di Tebboune, tuttavia, è ormai caduta, e al suo posto restano un Paese lacerato da una recessione e un popolo che continua a protestare.

Di Claudia Annovi. Pubblicato su Il Caffè Geopolitico