«Tre anni prigioniero in Siria, nella zona di Aleppo. Ostaggio di una banda di fondamentalisti vicini ad Al Qaeda che mi hanno spostato almeno dieci volte, ma mi hanno trattato bene»: è questa la versione che Sergio Zanotti, 59 anni, bresciano, consegna al pubblico ministero Sergio Colaiocco e ai carabinieri del Ros che lo interrogano dopo il ritorno in Italia. Un racconto, a tratti drammatico, che non basta a chiarire tutte le anomalie e incongruenze della vicenda. Ma serve comunque a chiudere il caso visto che altre verifiche — soprattutto in quell’area — appaiono impossibili da effettuare. E dunque si torna a tre anni fa, a quel viaggio in Turchia che ha motivi tuttora misteriosi.

«Ero disoccupato e avevo bisogno di soldi», dice Zanotti. Racconta di aver saputo «da amici bresciani che alcuni bulgari erano interessati a comprare dinari iracheni antichi. Con un milione di dinari avrei guadagnato tra i 12 e i 15mila euro». Prende dunque un aereo per Istanbul e il giorno dopo, il 15 aprile 2016, va ad Hatay con un taxi. Sorvola sugli spostamenti e sui primi contatti, e accusa «il tassista che mi ha evidentemente venduto perché la macchina è stata fermata da due uomini armati che mi hanno narcotizzato e portato via. Quando mi sono risvegliato ero in una casa nella zona di Aleppo». Sostiene di aver «cambiato almeno dieci prigioni dove c’erano sempre giovani incappucciati che mi controllavano. Non sono stato trattato male, potevo muovermi e una volta al giorno mi davano da mangiare. Loro erano molto religiosi, pregavano e rispettavano il Ramadan».

Uno dei punti oscuri del sequestro riguarda i video che in questi anni sono stati spediti via web o postati su Facebook per chiedere al governo di «intervenire prima che mi uccidano». Dubbi alimentati anche dal fatto che un altro bresciano, Alessandro Sandrini, era partito per «una vacanza in Turchia» nell’ottobre 2016, poi aveva telefonato ai genitori raccontando di essere stato rapito e dopo due anni sono arrivati filmati che lo mostrano con una tuta gialla sotto la minaccia di uomini armati. Nel primo video — diffuso sette mesi dopo la sparizione — Zanotti è in un campo di ulivi. Nel secondo — giunto dopo altri sette mesi — è chiuso in una stanza. Secondo le verifiche effettuate dai carabinieri del Racis si trattava di immagini «non genuine», perché i rilievi sullo stato dei luoghi accreditavano la possibilità che l’uomo fosse in un posto diverso dalla Siria. Inoltre gli esami relativi alla lunghezza della barba e dei capelli non apparivano coincidenti con il trascorrere del tempo. E lui lo spiega così: «Effettivamente in due o tre occasioni mi hanno fatto girare diversi filmati nello stesso momento ma cambiando la situazione e gli abiti. Io non sapevo che cosa ne facevano, erano loro a dettarmi le frasi».

di Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera