«Dopo il massacro di Tajura il Governo di accordo nazionale (Gna) del premier Fayez al Sarraj sta considerando il rilascio dai centri di detenzione di tutti i migranti», che sarebbero intorno a 6 mila, «perché la loro sicurezza non può essere garantita». Lo ha detto il Ministro dell’Interno del governo di Tripoli Fathi Bashagha. Il ministro ha affermato che il Gna è tenuto a proteggere tutti i civili, ma la protezione dagli attacchi «ai i centri di accoglienza da aerei F16, e la mancanza di un’opportuna protepericolo zione per i migranti illegali» nei centri sono «al di fuori delle capacità dell’esecutivo».
Martedì 2 luglio almeno 53 migranti sono stati uccisi e altri 130 sono stati feriti in Libia da un attacco avvenuto nella notte a Tripoli. Ad essere colpito dai raid un hangar nel sobborgo di Tajoura, ad est della capitale libica, che ospitava quasi 120 persone. L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), ha poi fatto sapere che i guardiani della struttura avrebbero sparato ai migranti che stavano scappando durante il bombardamento. La maggior parte delle vittime arrivava dall’Africa e aveva raggiunto la Libia con lo scopo di emigrare in Europa. Il quartiere periferico di Tajoura è regolarmente preso di mira dalle forze di Haftar, riferisce AFP.
Haftar ad aprile ha lanciato la sua offensiva sulla capitale, da quasi tre mesi alle porte di Tripoli si scontrano le forze del generale e le milizie a sostegno del premier al Sarraj, ma da settimane la sutuazione sul terreno di era sostanziale stallo. Il generale libico, ex uomo forte della Cirenaica, aveva annunciato lunedì 1 luglio pesanti bombardamenti su Tripoli, dopo il fallimento dei “mezzi tradizionali”. «L’UNHCR è estremamente preoccupata per i bombardamenti e per la notizia della morte dei migranti del centro di Tajoura a Tripoli», questo il tweet dell’agenzia Onu subito dopo il massacro. Sono tre i messaggi che l’UNHCR ha diffuso dopo i raid aerei costati la vita a rifugiati e migranti nel centro di detenzione libico: le persone in fuga non devono essere detenute; i civili non sono un bersaglio; la Libia non è un porto sicuro.
Quasi 6mila migranti, in fuga da nazioni come Eritrea, Etiopia, Somalia e Sudan sono rinchiusi in Libia in decine di campi e strutture controllati da milizie locali che guadagnano con il traffico di esseri umani. Diverse inchieste delle Nazioni Unite hanno rivelato che in questi campi avvengono torture, abusi e altre violazioni dei diritti umani ai danni dei migranti. Secondo un report del 2018, dall’anno 2017 almeno 29mila migranti sarebbero stati trasportati nei centri di detenzione, dove le persone restano rinchiuse contro la loro volontà, a tempo indeterminato e senza alcuna assistenza legale. Il personale delle Nazioni Unite l’anno scorso ha visitato 11 centri, dove migliaia di migranti e rifugiati subiscono, ad esempio, percosse e ustioni praticate con oggetti metallici roventi. Ai familiari dei detenuti vengono estorti soldi attraverso un complesso sistema di trasferimento di denaro. Secondo l’Onu, più di 3mila migranti sarebbero adesso in pericolo perché detenuti in centri collocati a ridosso della linea di demarcazione tra le posizioni delle forze fedeli ad Haftar e quelle a sostegno del governo riconosciuto di Tripoli.
L’agenzia AP a fine giugno aveva lanciato un nuovo allarme sulle condizioni inumane in cui i migranti sono costretti a vivere nei centri in Libia. Centinaia di africani sono detenuti per mesi tra pile di rifiuti, a contatto con vermi e liquami e senza acqua e cibo in quantità sufficienti a sopravvivere. In questi inferni nel deserto libico spesso finisce il sogno di una vita migliore in Europa. «La nostra vita peggiora di giorno in giorno», ha detto un migrante eritreo, uno dei 700 rinchiusi in un centro vicino alla città di Zintan, nell’ovest del Paese. Nel centro di Zintan sarebbero morti almeno 22 migranti dallo scorso settembre, 100 sarebbero quelli malati, alcuni di tubercolosi, e i bambini detenuti sarebbero un altro centinaio. La soffrenza non è solo fisica, molte persone sviluppano anche disturbi mentali. «Abbiamo bisogno di un piano d’emergenza per evacuare Zintan», ha affermato un migrante ad AP. Nel centro i detenuti non possono vedere la luce del sole e verrebbero privati del cibo e dell’acqua come forma di punizione. La zona occidentale del Paese, dove si trova Zintan, è amministrata dal governo di unità nazionale di Tripoli, che si appoggia alle milizie. I migranti di Zintan si sono rivolti all’UNHCR, accusando l’agenzia di averli abbandonati. L’UNHCR ha però risposto che le milizie che controllano l’area hanno negato l’accesso al sito.
(Errata corrige la città di Gharian è nell’ovest)
Photo: Libia, Tripoli, AFP
Redazione
La redazione di Babilon è composta da giovani giornalisti, analisti e ricercatori attenti alle dinamiche mondiali. Il nostro obiettivo è rendere più comprensibile la geopolitica a tutti i tipi di lettori.
Come fare impresa nel Golfo
16 Ott 2024
Come aprire una società in Arabia Saudita? Quali sono le leggi specifiche che regolano il business nel Paese del Golfo…
Non c’è più la politica di una volta
26 Set 2024
In libreria dal 20 settembre, per la collana Montesquieu, Fuori di testa. Errori e orrori di politici e comunicatori,…
I fronti aperti di Israele in Medio Oriente
6 Nov 2023
Negli ultimi anni, sotto la guida di Benjamin Netanyahu Israele è stato molto attivo in politica estera e piuttosto…