Libia

«Non ci saranno più guerre in Libia, né divisioni». È con questa ardita promessa che Abdul Hamid Dbeibah ha salutato la fiducia accordatagli dal parlamento libico per la formazione di un governo di unità nazionale. Accade a Sirte, città simbolo della resistenza allo Stato Islamico, nonché terra natale e ultimo riparo del colonnello Gheddafi durante la guerra civile. Qui, nel bacino più ricco di idrocarburi del Nordafrica, a metà degli anni dieci del nuovo millennio sono morti prima il leader libico e poi la speranza degli jihadisti di instaurare un Califfato.

E proprio qui Dbeibah ha simbolicamente tenuto il suo primo discorso davanti ai deputati libici, che gli hanno concesso una larga fiducia, con 121 voti favorevoli su 132 parlamentari presenti. «Grazie all’unità porteremo la Libia in salvo» ha scandito il premier incaricato, aggiungendo che «i confini immaginari che sono stati innalzati tra i libici nell’ultimo periodo devono essere rimossi». Il riferimento è ovviamente alla divisione tra la Tripolitania guidata da Al Serraj e la Cirenaica controllata dal Generale Haftar, che proprio a Sirte trovano un punto di equilibrio ed equidistanza.

Dopo molte tribolazioni, dunque, e grazie all’aiuto prezioso delle Nazioni Unite, Dbeibah è riuscito nell’impossibile: far incontrare un parlamento litigioso e che non si riuniva da anni. Ecco perché lo hanno definito «un giorno storico». L’ennesimo, in verità, per la Libia. Già, perché adesso comincia il difficile: riannodare i fili diplomatici tra le tribù; disarmare gli irriducibili; laicizzare cuore e menti; ricucire le divisioni che solo pochi mesi facevano piovere bombe sulle città costiere; e, non ultimo, allontanare il cinismo dei Paesi stranieri come Turchia e Russia, che qui speravano (e sperano ancora) di contare come e più di prima.

La Camera dei rappresentanti riunita a Sirte ha fatto il primo passo e stabilito la road map: è stata approvata la lista dei 26 ministri proposti dallo stesso Abdul Hamid Dbeibah, che da oggi avranno il loro bel daffare per portare il paese a elezioni generali il prossimo 24 dicembre. Tra loro, spiccano due donne in altrettanti dicasteri chiave: agli Affari esteri e alla Giustizia.

Una scelta laica, positiva e molto audace per l’intera Africa, che è stata pensata guardando al modello Tunisia, dove la pur fragile democrazia parlamentare seguita alla caduta del dittatore Ben Ali, ha attecchito tutto sommato bene. Nel complesso lavoro di ricostruzione delle istituzioni tunisine, infatti, le donne hanno avuto e continuano ad avere un ruolo determinante.

La prima tappa ravvicinata del nuovo corso politico libico è ora il giuramento ufficiale del governo, previsto in quel di Bengasi il 15 marzo prossimo. Non ci dovrebbero essere sorprese: l’attuale premier Serraj ha accordato «piena disponibilità al passaggio di poteri», prospettando una transizione pacifica. Ma c’è tuttavia da segnalare un silenzio imbarazzato dalle parti del generale Haftar. Del resto, c’è da capirlo: dopo aver mancato l’obiettivo di conquistare manu militari la capitale Tripoli, il suo peso si è ridotto drasticamente e le sue leve per influenzare i destini della Libia sono armi spuntate. Molti lo interpretano come un silenzio assenso, ma l’esperienza insegna che è meglio non fidarsi.

Ecco perché restano grandi incognite sui destini libici e le prospettive di una reale stabilità sono invero tutte da verificare. Il percorso da qui al Natale dei cristiani è infatti piuttosto arduo. Bisognerà, ad esempio, modificare la costituzione, che oggi prevede la riduzione da nove a tre dei componenti del Consiglio presidenziale; si dovranno approvare nuove norme per disporre di una legge elettorale sostenibile (su questo, non chiedano aiuto all’Italia!).

Ancora, si dovrà nominare un nuovo organo di controllo, o comunque si dovranno rivedere le meccaniche che sovrintendono alla gestione della Noc, la National Oil Corporation che tiene in mano i destini economici del Paese, così come il board della Banca centrale (riportare ogni funzione a Tripoli escludendo del tutto Bengasi potrebbe rivelarsi molto pericoloso).

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Le Nazioni Unite sono fiduciose, soprattutto a seguito del cessate il fuoco siglato lo scorso ottobre, che bene o male ha tenuto. Ma le divisioni che hanno caratterizzato gli ultimi anni la scena politica libica ci sono ancora. Soprattutto perché sono espressione di potenze straniere: da una parte il Gna, il governo di Tripoli riconosciuto dall’Onu e appoggiato da Ankara; dall’altra l’amministrazione dell’Est, con le truppe fedeli a Khalifa Haftar che sono appoggiate da Egitto, Russia ed Emirati Arabi Uniti e sostenute sul campo da mercenari al soldo di Mosca (attraverso la famigerata compagnia militare privata Wagner).

Da ultimo, ci saranno da riconsegnare arsenali interi e smantellare le ultime cellule jihadiste prima di poter affermare che le elezioni si possono tenere in sicurezza. Così come si dovrà ricostituire al più presto un esercito che risponda a un unico organo nazionale, che dia la certezza di erogare stipendi e che impedisca ai suoi vertici con le mostrine di intraprendere azioni unilaterali nel deserto, come quelle che hanno reso famoso il generale Haftar. Quanto all’indipendenza da appetiti stranieri e alla ricostruzione delle basi per la ripresa economica, questo è lungi dal poter essere commentato.

All’ombra di tutto ciò resta incerto il destino delle molte milizie che si alimentano tuttora di traffici illegali di ogni tipo, dalla droga agli esseri umani. Le migliaia di migranti che continuano a giungere in Libia da diversi Paesi africani – e che seguitano a pagare profumatamente i trafficanti allo scopo di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Europa – restano una realtà che né le Nazioni Unite né un giovane governo libico potranno frenare in alcun modo. Per non dire dell’incertezza socio-economica dei cittadini libici dovuta alla mancanza di lavoro, alle precarie condizioni d’igiene (ai tempi del Covid, e con ospedali e aeroporti bombardati) e alla disponibilità di alternative, se non appunto la delinquenza in ogni sua forma.

Dunque, non resta che augurare buon lavoro al premier incaricato Abdul Hamid Dbeibah e alle Nazioni Unite che sovraintendono ai lavori. Sperando che questa non sia l’ennesima farsa che ha precipitato la Libia nel novero degli Stati falliti.

“Libya Celebrates ‘Tripolitanian Republic’ Declared against Colonial Rule” by United Nations Photo is licensed under CC BY-NC-ND 2.0

Pubblicato su Panorama