Libia: una, due o più?

Oggi la Libia si caratterizza per una situazione istituzionale, oltre che politica, complessa anche dal punto di vista normativo. Qualunque analisi e riflessione sul tema sconta un dubbio giuridico difficile a risolversi circa i due governi che sembrano essere in carica. Da una parte Tobruk, il cui parlamento è quello uscito dalle elezioni del 2014 e che dispone dell’esercito legittimo guidato dal generale Haftar; dall’altra parte Tripoli.

Originariamente, con l’espressione “Governo di Tripoli” si faceva riferimento a chi aveva rifiutato il risultato delle elezioni politiche. Oggi, però, con la stessa espressione ci si riferisce al governo di Fayez Al Serraj, che è qualcosa di diverso: si tratta, infatti, del governo di unità nazionale supportato dalla comunità internazionale e dall’ONU in particolare.

Ma il dubbio che si annida è: c’è un governo riconosciuto internazionalmente o ci sono piuttosto più interlocutori? La domanda non è di poco conto: il tema riguarda, infatti, un capitolo fondamentale del diritto internazionale circa la successione degli Stati e ha regole del tutto particolari.

Si tratta di individuare chi possa impegnare le volontà dello Stato di Libia. Per fare un esempio e rimanere a una vicenda che ha toccato l’Italia (e sulla quale è stato chiamato a pronunciarsi il Tribunale di Roma), è bene sapere chi è legittimato a designare i rappresentanti diplomatici, dall’incaricato di affari sino all’ambasciatore in un certo Paese. Certamente, un ruolo fondamentale è giocato dalla comunità internazionale. Quindi, ogni singolo Stato stabilisce se riconoscere o meno un soggetto nelle proprie relazioni diplomatiche.

Ciò detto, non possiamo dimenticare un altro passaggio fondamentale, ossia il processo di stabilizzazione della Libia pensato dalle Nazioni Unite: si tratta del Libyan Political Agreement firmato il 17 dicembre 2015 a Skhirat, in Marocco, che prevede la nascita del governo d’intesa nazionale oggi guidato da Fayez Al Serraj.

Prima di quella sottoscrizione, vi era stata la dichiarazione comune di Roma sulla Libia del 13 dicembre, in base alla quale la comunità internazionale s’impegnava ad appoggiare l’Accordo Politico per la Libia e le istituzioni da esso previste, e a sostenere «il Governo di Concordia Nazionale come l’unico governo legittimo della Libia». Dichiarazione trasferita anche nella Risoluzione delle Nazioni Unite 2259 del 23 dicembre 2015, che ha fatto seguito alla sottoscrizione dell’accordo.

Ma proprio perché quel governo è pensato come “d’intesa nazionale”, il testo dell’accordo prevede anche che esso dovrà ottenere la fiducia dell’unico Parlamento che viene effettivamente e giuridicamente riconosciuto. E questo è il Parlamento di Tobruk, cioè quello uscito dalle elezioni politiche del 2014 che, in base all’articolo 1 e all’articolo 13 del Libyan Political Agreement, deve concedere il voto di fiducia al governo.

Sennonché, quel voto di fiducia non c’è stato e, quindi, sul piano giuridico non resta che prendere atto che il successore della Libia di Gheddafi (per intendersi) non può che essere – anche per la comunità internazionale che lo ha inteso mettere nero su bianco – il Parlamento di Tobruk. Dunque, Haftar.

L’autorità di Serraj, invece, pur supportata ancora dalla comunità internazionale, è stata chiaramente (e inevitabilmente) sottoposta alla chiara condizione di un voto di fiducia che però, per il momento, non c’è stato. In attesa delle annunciate elezioni politiche, la situazione diplomatica resta complessa. Anche se, tecnicamente, possiamo concludere che il Parlamento che la comunità internazionale ha inteso riconoscere nell’accordo di Skhirat è unicamente quello di Tobruk.

Articolo pubblicato sul n. 1 di Babilon