La stabilità regionale del Sahel e la lotta al terrorismo sembrano essere priorità strategiche di molti attori internazionali a partire dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea. Le operazioni militari bilaterali e multilaterali, mirano a rafforzare le forze armate degli Stati della regione al fine di renderli capaci di contrastare le numerose minacce e favorire, nel lungo periodo, uno sviluppo sostenibile

 

Lo Stato Islamico del Grande Sahara e il G5 per il Sahel

Il Sahel è oggi una delle regioni più instabili del pianeta dove movimenti terroristici, organizzazioni estremiste criminali e guerre territoriali destabilizzano equilibri già fragili e incerti. Il terrorismo di matrice jihadista, nato come delocalizzazione di Al Qaeda e dello Stato Islamico, sembra essere sempre più coeso e organizzato e avere un unico obiettivo: la destabilizzazione dei governi della regione.

La nascita dello Stato Islamico del Grande Sahara, fondato da Adnan Abu Walid al-Sahraoui e riconosciuto da Daesh nell’ottobre 2016, concentra attualmente le proprie forze contro l’alleanza anti-terrorismo nella regione: il G5-Sahel. Si tratta di un’organizzazione regionale di cui fanno parte 5 stati: Burkina Faso, Ciad, Niger, Mali e Mauritania. Nata il 16 febbraio del 2014, essa ha lo scopo di affrontare, attraverso la cooperazione tra questi Stati, le sfide presenti nella regione: i traffici illegali, il terrorismo, l’emigrazione fino ad arrivare al cambiamento climatico, con l’obiettivo di combattere principalmente la minaccia jihadista.

Al-Sahraoui ha reso noto che l’organizzazione opera principalmente nella “zona dei tre confini” (Mali, Burkina Faso e Niger) per impedire la stabilizzazione delle Forze armate del G5, collaborando con i movimenti filo qaedisti. «I nostri fratelli Iyad Ag Ghaly e gli altri mujaheddin difendono l’Islam come », così si è pronunciato al-Sahraoui facendo riferimento al capo tuareg del movimento Ansar Dine affiliato ad Al Qaeda. I rapporti tra le due galassie jihadiste presenti nel Sahel sono molto incerti ma la minaccia rappresentata dal G5 e dalle missioni internazionali potrebbe aver spinto queste due entità a costruire un fronte comune. Lo stesso fondatore, prima di affiliarsi allo Stato Islamico, era uno dei principali esponenti del gruppo jihadista qaedista al-Mourabitun e dopo il suo avvicinamento ad Al Baghdadi venne immediatamente ripudiato da Belmokhtar. Lo Stato Islamico del Grande Sahara ha rivendicato una serie di attacchi come quello nell’ottobre 2017 in Niger che ha ucciso 4 soldati americani e 5 soldati nigerini.

 

Gli interventi internazionali per la sicurezza della regione

I movimenti terroristici hanno preso piede in questo deserto fatto di sabbia e vuoti di potere, in cui gli attori internazionali sono intervenuti con l’intento di ricostruire la sicurezza nella regione. Nel 2013, con la fine della guerra in Mali, le Nazioni Unite hanno dispiegato la Missione Multidimensionale Integrata delle Nazioni Unite in Mali (MINUSMA) il cui scopo è quello di sostenere la stabilizzazione politica nel Paese, garantire il rispetto dei diritti umani e la protezione dei civili.

La Risoluzione 2364 ha prolungato il mandato della missione fino a giugno 2018 con la presenza di 13.200 soldati e 1.920 poliziotti. Con la Risoluzione 2359 del 21 giugno 2017, il Consiglio di Sicurezza ha approvato la creazione della Forza Congiunta FC-G5S, la quale prevede il dispiegamento di 5.000 uomini sul territorio al fine di favorire il raggiungimento della pace e della sicurezza nella regione, a supporto delle forze armate dei 5 Stati sahaliani.

Nel medio periodo essa dovrebbe rappresentare una exit strategy per le forze francesi presenti sul territorio. Alla Forza Congiunta è stata integrata la Liptako Gourma Securitisation Force, creata a gennaio 2017 da Burkina Faso, Mali e Niger ed è stata poi approvata dal Consiglio di Pace e Sicurezza dell’Unione Africana (AUPSC) che ne ha concordato il mandato. Gli obiettivi principali della FC-G5S sono: combattere il terrorismo e il traffico di droga; contribuire al ripristino dell’autorità statale e al ritorno degli sfollati e dei rifugiati; facilitare le operazioni umanitarie e la fornitura di aiuti alle popolazioni colpite; contribuire all’attuazione di strategie di sviluppo nella regione del G5 Sahel. Essa opera principalmente in tre aree cruciali:

  • l’area occidentale al confine tra Mali e Mauritania;
  • nell’area centrale ossia la regione Liptako Gourma, nota anche come “zona dei tre confini” tra Mali, Niger e Burkina Faso, dove agiscono i principali movimenti terroristici ed è stanziato un numero maggiore di forze militari;
  • nell’area orientale al confine tra Niger e Ciad.

La presenza dell’Unione Europea nel Sahel a partire dal 2011 è caratterizzata da un comprehensive approach, la cosiddetta Sahel Strategy, che prevede il supporto ai Paesi della regione nel rispondere alle sfide di sicurezza e sviluppo. Il Sahel Regional Action Plan consiste nell’implementazione della Sahel Strategy e ha quattro priorità: contenere e prevenire la radicalizzazione; creare condizioni di vita migliori e impiego per le giovani generazioni; flussi migratori; controllo dei traffici illeciti e della criminalità organizzata.

Successivamente, nel 2012 e 2015 sono state lanciate le missioni Eucap Sahel Niger per sostenere le forze armate locali nella lotta ai movimenti terroristici e al crimine organizzato e Eucap Sahel Mali per supportare l’autorità centrale nella ricostruzione di un ordine costituzionale e democratico insieme alla EU training mission in Mali (EUTM). A partire dal 2014 è stato rafforzato il sostegno al G5 Sahel come partner cruciale nella stabilizzazione della regione, stanziando 50 milioni di euro per la G5 Sahel Joint Force. Infine, il 23 febbraio scorso si è tenuta a Bruxelles l’ultima Conferenza sul Sahel per valutare gli impatti degli interventi sulla regione e confermare gli impegni presi come l’EU Emergency Trust Fund For Africa dove sono stati stanziati 8 miliardi di euro.

Dal 2014 è in atto l’Operazione Barkhane, avviata dalla Francia con l’obiettivo di rendere le Forze Armate stati del G5 Sahel in grado di provvedere alla sicurezza della regione e contrastare i gruppi armati terroristici. La Francia considera l’alleanza dei cinque stati del Sahel un partenariato strategico che va rinforzato e sostenuto per ottenere risultati tangibili nella lotta al terrorismo.

 

La missione italiana in Niger

L’intervento militare italiano in Niger si inserisce nel quadro più ampio europeo ed internazionale a supporto delle forze militari e di polizia del G5 Sahel. A gennaio 2018 è stato approvato dalla Camera il decreto delle missioni militari, il quale prevede un ridimensionamento della presenza italiana in Iraq e in Afghanistan e un aumento del numero di operazioni in Africa, in particolare in Libia e Niger, dove saranno presenti rispettivamente 400 e 470 soldati.

L’Italia opererebbe per la prima volta in questo Paese e il contingente affiancherà le forze statunitensi e francesi già presenti sul territorio, al fine di rafforzare il controllo sulle frontiere e sulle principali rotte migratorie. Si tratta, dunque, di una missione tesa al contenimento delle migrazioni clandestine a partire dal paese di origine che si concentra sulla zona a nord del Niger al confine con la Libia, da dove passa l’80% dei traffici migratori illegali diretti all’Europa.

Il focus sulla questione migratoria dell’Italia, così come della Francia, sembra spostarsi sempre più a sud ed è per questo che la presenza in Libia e in Niger per questi due Paesi risulta cruciale ai fini di un controllo dei flussi migratori. Ma il governo nigerino sembra non approvare la missione operativa italiana. Il ministro dell’Interno, Mohamed Bazoum, ha dichiarato a Radio France Internationale di non essere stato informato o consultato circa la missione e che essa risulterebbe, a suo avviso, non necessaria data la presenza sul territorio delle forze francesi e statunitensi.

Dunque la missione italiana, non approvata dall’Assemblea Nazionale nigerina, è in un momento di stallo, nonostante l’invio di 40 soldati attualmente presenti sul campo. Il tentativo dell’Italia di essere presente nel Sahel al fine di avere voce in capitolo sul fronte migratorio in Europa e di esercitare la propria influenza su questo territorio, destabilizzato da movimenti terroristici e dal cambiamento climatico ma anche ricco di risorse, sembra attualmente vacillare.

di Altea Pericoli – Il Caffè Geopolitico