L’uccisione a inizio ottobre di quattro soldati delle forze speciali americane in Niger, al confine con il Mali, ha ridato fiato a una serie di polemiche sull’efficacia della strategia militare degli Stati Uniti in Africa. Attualmente gli effettivi schierati nei focolai di crisi africani dal dipartimento della Difesa statunitense sono quasi cinquemila tra soldati regolari, membri delle forze speciali, addestratori e personale civile. La maggior parte di essi stanzia nella base militare di Lemmonnier, in Gibuti. Il vivo delle operazioni è però nei territori fertili del terrorismo di matrice jihadista con Niger e Camerun utilizzati come punti di riferimento da cui far scattare soprattutto operazioni mirate.
In quest’area le minacce sono principalmente due: Boko Haram, stanziato nel nord-est della Nigeria al confine con Niger, Ciad e Camerun; e Al Qaeda nel Sahel, recentemente “resuscitata” con il nuovo nome di Jamaât Nasr Al islam wa Al mouminin (“Gruppo per la vittoria dell’Islam e dei suoi fedeli”) sotto la guida del signore della guerra Mokhtar Belmokhtar e operativa in quell’enorme zona grigia estesa tra Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad, sud dell’Algeria e sud della Libia.
In Africa le minacce per gli USA sono principalmente due: Boko Haram e Al Qaeda nel Sahel, recentemente “resuscitata” con il nuovo nome di Jamaât Nasr Al islam wa Al mouminin
Attualmente in Niger gli USA schierano più di 800 soldati (erano 575 nel 2016) a sostegno degli eserciti locali e dell’esercito francese impegnato nel Sahel nell’ambito dell’Operazione Barkhane. Gli sforzi logistici maggiori sono concentrati come detto in Niger, dove l’obiettivo è costruire una base aerea nella regione settentrionale di Agadez: costo circa cinquanta milioni di dollari. La posizione è strategica perché consentirebbe di velocizzare i tempi di decollo e rientro dei caccia e dei droni inviati in Libia per distruggere le ultime sacche di resistenza jihadiste.
Nel bacino del lago Ciad, principalmente in Camerun, stanziano più di 300 soldati (285 nel 2016) per garantire sostegno alla disastrata missione militare dell’Unione Africana FMM (Force multinationale mixte): circa 7mila soldati mandati a combattere contro Boko Haram da Nigeria, Niger, Ciad, Camerun e Benin.
La presenza militare più significativa degli Stati Uniti in Africa è però nell’Africa Orientale. Nella base di Lemmonnier, in Gibuti, stanziano circa 4mila unità impiegate in operazioni speciali nel Corno d’Africa e nella Penisola Araba. Dal settembre del 2013 i rapporti con il governo locale si sono però iniziati a complicare. Il Paese africano ha infatti chiesto agli USA di trasferire parte dei suoi droni in un’altra pista d’atterraggio (attualmente in fase di allestimento) preoccupato che i continui movimenti statunitensi potessero interferire con il traffico civile del vicino aeroporto internazionale.
Nella base di Lemmonnier, in Gibuti, stanziano circa 4mila soldati americani impiegati in operazioni speciali nel Corno d’Africa e nella Penisola Araba
Gibuti è un Paese di fondamentale importanza strategica. Spicchio di terra popolato da poco più di 800mila persone, confina con l’Eritrea a nord, l’Etiopia a ovest e a sud, la Somalia a sud-est, ma soprattutto è affacciato sullo stretto di Bab el-Mandeb. È in queste acque che si concentrano i maggiori traffici marittimi a livello internazionale di portacontainer e petroliere che dall’Oceano Indiano risalgono il Canale di Suez per entrare nel Mediterraneo. Da luglio a Gibuti gli USA hanno un “nemico” in più da cui guardarsi dopo che la Cina ha avviato i lavori per la costruzione della sua prima base militare all’estero.
In ordine sparso gli USA schierano altri contingenti in Uganda, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo e Africa Centrale dove si dà la caccia al leader del Lord’s Resistance Army Joseph Kony. Senza dimenticare la Libia, dove gli americani continuano a muoversi sottotraccia, e l’Egitto, dove si punta a recuperare quanto più possibile del terreno lasciato libero alla Russia dall’ex presidente Barack Obama.
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