Sono attese per oggi manifestazioni di massa in tutta la Tunisia, dopo giorni di disordini che hanno interessato numerose località del Paese. Con il nuovo anno è tornata la rabbia per le strade di Sidi Bouzid, città simbolo della rivoluzione del 14 gennaio 2011, dove l’8 gennaio circa 300 persone si sono scontrate duramente con le forze di sicurezza. Mentre ad Hay Ettadhamen, agglomerato urbano anch’esso alle porte di Tunisi, banche e supermercati sono stati saccheggiati e vandalizzati. A Nefza, addirittura, è stata incendiata la caserma di polizia. Sinora, il bilancio ufficiale degli scontri è di oltre 300 persone arrestate, 20 agenti di polizia feriti, 10 autoveicoli delle forze dell’ordine danneggiati. E c’è anche il primo morto, a Tebourba: ucciso dai gas lacrimogeni secondo la polizia, schiacciato da un mezzo militare secondo i manifestanti. Meknassy, Kasserine, Gafsa sono altre località coinvolte dai disordini.
Chi cavalca la rabbia sociale
A cavalcare il disagio sociale nelle strade è soprattutto il movimento Fech Nestanaou–Qu’attendons-nous? (ovvero “Cosa stiamo aspettando?”), che ha lanciato l’appello per nuove manifestazioni di massa il prossimo 12 gennaio. La formazione, di cui fanno parte alcuni attivisti arrestati negli ultimi giorni tra Tunisi, Sousse e Bizerte per aver distribuito volantini che inneggiavano contro il governo, sembra molto ben organizzata, anche se ancora non è emerso chiaramente chi la coordini e ne finanzi l’azione anti-governativa.
A farne parte, in ogni caso, sono sì lavoratori e cittadini pacifici spaventati dal caro vita, ma soprattutto giovani e studenti. Nell’analizzare la Tunisia non va infatti mai dimenticato che in questo Paese l’età media della popolazione è intorno ai 30 anni (mentre, per dire, in Italia è intorno ai 45 anni).
Gli attivisti di Fech Nestanaou–Qu’attendons-nous? sembrano essere supportati dall’UGTT, l’Unione Generale Tunisina del Lavoro, ossia un sindacato che, pur favorevole al governo di Youssef Chahed, ha però espresso la sua chiara opposizione alla legge finanziaria. Al sindacato si sono uniti anche il partito d’opposizione Front populaire e Bani Watani (“Figli della patria”), che denunciano l’incapacità e la corruzione dei leader politici. Per il fondatore di quest’ultimo, l’ex ministro della Sanità Said Aidi, i giorni del governo sono contati.
Il governo di unità nazionale
Tuttavia, il governo di unità nazionale di Chahed per ora tiene. L’ultimo rimpasto di governo, operato lo scorso settembre, ha rispettato le quote politiche richieste dai principali partiti che in parlamento fanno la parte del leone: Nidaa Tounes, Ennahda, Afek Tounes e Al Massar. Nidaa Tounes, il partito laico del presidente Essebsi, ha infatti mantenuto i suoi sei ministri chiave, monopolizzando Difesa, Interni e Giustizia. Mentre il partito rivale Ennahda, molto vicino alla Fratellanza Musulmana, adesso guida le trattative per ottenere maggior peso politico nella compagine di governo. E non è da escludere, come sostengono più fonti tra cui Al Jazeera, che qualcuno possa anche approfittare della situazione per innescare una crisi di governo al buio. In ogni caso, la giornata di oggi dirà molto di più del caos in cui rischia di precipitare il Paese.
L’economia tunisina
L’ira del popolo tunisino è maturata a fine 2017, quando il governo ha annunciato che dal primo gennaio 2018, in linea con le misure di austerità concordate con il Fondo Monetario Internazionale, sarebbero state introdotte maggiorazioni per carburanti, assicurazioni e altri servizi, con l’aumento dell’Iva dell’1% e l’adozione di tasse doganali su alcuni prodotti importati dall’estero come alcol, auto, telefoni, servizi internet. L’inflazione in Tunisia, intanto, è attestata al 6% circa annuo e sta spazzando via i guadagni della classe lavoratrice, che adesso dovrà fronteggiare anche gli aumenti delle tasse che, secondo gli esperti, colpiranno soprattutto i beni meno duraturi.
Le misure di austerità arrivano in un momento in cui l’economia della Tunisia sta lottando per tornare a crescere. In particolare nel settore turistico, una delle principali risorse del Paese, che non si è più ripreso dopo gli attacchi terroristici compiuti a Tunisi e Sousse nel 2015, che hanno comprensibilmente spaventato e allontanato i visitatori stranieri, proprio come speravano i terroristi. Adesso, l’aumento delle tasse turistiche per i soggiorni in albergo potrebbe dare il colpo di grazia al settore.
Anche per questo, si sono formate associazioni e gruppi di attivisti che poco o nulla c’entrano con gli islamisti – quando si parla di disordini Tunisia è sempre questo il retropensiero occidentale, visto che il paese ha fornito il più alto numero di foreign fighters alla causa del Jihad – ma che non sono meno pericolosi e all’interno dei quali si potrebbero comunque infiltrare anche elementi radicali.
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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