La presidenza Zelensky compie un anno, ma i cambiamenti promessi e le riforme necessarie tardano ad arrivare. Le rinnovate influenze russe, insieme allo slow motion legislativo, sono due segnali che indicano quanto poco sia cambiata la situazione in Ucraina. Il Paese arranca a causa del coronavirus e attende, forse invano, nuovi finanziamenti per poter ripartire
Il 21 aprile 2019, l’Ucraina eleggeva il nuovo Presidente, Volodomir Zelensky, un personaggio che, nonostante non fosse avvezzo alla vita politica, stravinse contro Poroshenko. Nella precedente campagna elettorale, l’ex comico si era posto agli antipodi rispetto al presidente uscente. Con Zelensky emergevano, finalmente, nuove possibilità per un’Ucraina europea, indipendente e libera dall’influenza russa. Speranze che fino ad ora sembrano essere state tradite. Il presidente, specialmente con l’inizio del nuovo anno, sembra essere tornato sui propri passi, avendo dato appoggio a personaggi come Kolomoisky e avendo sostituito gran parte dei Ministeri in seguito al licenziamento del primo ministro Oleksiy Honcharuk. Zelensky ha messo così in dubbio il futuro delle riforme in Ucraina.
Il turning point dell’amministrazione Zelensky può essere individuato nel mese di marzo 2020, con le dimissioni di Honcharuk dalla carica di primo ministro. O meglio, il suo secondo tentativo. Il primo, avvenuto a gennaio 2020, era stato respinto da Zelensky, che aveva giudicato non sostanziale lo scandalo sulle intercettazioni telefoniche, ritenendo che il primo ministro meritasse una seconda chance. Nelle intercettazioni telefoniche, Honcharuk si riferì al presidente come un “layman” (un profano, un outsider), andando a sottolineare la mancata esperienza politica dell’ex-comico e le sue conoscenze in campo economico.
Zelensky, però, non si è fermato a Honcharuk. Il presidente ha invece colto l’occasione per rinnovare l’intero gabinetto, nel quale prevalevano una spinta e una volontà generalmente riformiste. La decisione era stata presa da Zelensky al fine di migliorare l’efficacia del gabinetto stesso. Tuttavia, la mossa è risultata una manovra estremamente pericolosa: l’interruzione del continuum politico in merito alle riforme economiche, allo scopo di ottenere maggiori fondi dall’IMF, ha causato deflussi di capitale e l’aumento degli oneri finanziari per il Paese.
Eppure, quei finanziamenti sarebbero vitali per l’Ucraina. Il coronavirus ha colpito duramente l’economia, che aveva iniziato a rallentare già a fine 2019 a causa dell’eccessivo rafforzamento della moneta nazionale, la hryvnia. Il valore della valuta ha reso inappettibile il mercato degli export. Con le misure di quarantena disposte in più parti del mondo, il mercato globale del petrolio è crollato, portandosi via una grossa fetta dei profitti dell’Ucraina e non permettendo la crescita del PIL.
In attesa dei fondi internazionali dell’IMF, Zelensky ha già rinviato il pagamento di alcune imposte, la presentazione dei prospetti finanziari come dei pagamenti di utilità per le imprese, insieme alle dichiarazioni fiscali personali per le persone fisiche. Inoltre, le grandi imprese sembrano pronte a sostenere la nazione durante la crisi. Ciò nonostante, la rivitalizzazione economica del Paese è rallentata dalla presenza di oligarchi e gruppi di interesse, come nel caso di Ihor Kolomoisky. Nuovi e più sostanziali aiuti economici internazionali arriveranno solo quando le riforme economiche, del settore bancario, saranno implementate.
Kolomoisky è diventato un ostacolo tra Kiev e l’IMF. Tali riforme sono proprio quelle osteggiate dall’oligarca, che con il proprio gruppo di interesse ha rallentato la seconda lettura del nuovo decreto bancario attraverso lo strumento del “legislative spam”. Una strategia efficace che ha costretto il governo a procrastinare il voto fino al 30 aprile. Con un procedimento legislativo speciale, fast track, il governo è riuscito ad implementare la legge solo in data 13 Maggio. Kolomoisky ha spinto molto per ottenere un risarcimento per la nazionalizzazione della PrivatBank, di cui era comproprietario fino al 2016, quando il governo ne ha preso il controllo a causa del buco di 5,6 miliardi di dollari nel suo bilancio. L’oligarca, ad ogni modo, è di fatto comunque rimasto insoddisfatto dal risultato: il decreto proibisce il ritorno alla privatizzazione di PrivatBank.
La legge è stata fortemente voluta da Zelensky, in un tentativo di fermare il crollo dei tassi di interesse. La riforma bancaria, insieme alla riforma per la privatizzazione dei territori agricoli, sono due prerequisiti inseriti da Zelensky per avvicinarsi ai finanziamenti del Fondo. Il decreto vieterà la riammissione a giudizio della decisione sulla nazionalizzazione e liquidazione delle banche. Il contenuto di questa legge altro non è che il requisito necessario per l’accesso ai finanziamenti del Fondo Monetario Internazionale. Un secondo step sarà necessario per accedere agli aiuti internazionali. Il decreto mira, in particolare, a bloccare ogni possibile ritorno ad una privatizzazione di Privatbank. La legge è stata anche definita “anti-Kolomoisky”.
Come scrive Agenzia Nova, il 21 maggio il governo ucraino ha approvato il rapporto annuale per il 2019 della banca statale PrivatBank. Ad affermarlo è stato il premier ucraino Denys Shmyhal. «Abbiamo approvato il rapporto annuale di PrivatBank per il 2019: un 75 per cento di profitti netti, pari a 24,4 miliardi di grivnie (836 milioni di euro), un altro 5 per cento di profitti della banca verrà inviato al fondo di riserva, per un ammontare di 1,6 miliardi di grivnie (54 milioni di euro)», ha detto Shmyhal. L’esecutivo di Kiev, inoltre, ha approvato il piano finanziario per il 2020 delle altre controllate dello Stato: Turboatom e Ukrtransamiak.
A livello legislativo, Kolomoisky ha instaurato una vera e propria leakocracy per impedire le riforme della giustizia. L’oligarca ha di fatto creato una campagna contro i riformatori, e le Ong a loro supporto, tramite le rete telecomunicative e i social media. Specialmente Telegram, app non nuova in Ucraina per influenzare l’opinione pubblica e la politica nazionale e internazionale. Leakocracy quindi si riferisce alla tendenza ucraina, dove la politica, in secondo piano, è sempre più guidata da guerre di informazione digitale. Come se non bastasse questo sabotaggio informatico, molto efficace nel caso delle riforme giuridiche, urge ricordare che Kolomoisky domina anche in altri modi le comunicazioni, possedendo reti televisive ed essendo accusato di essere responsabile del leak di Honcharuk.
Il Paese è in una fragile condizione politica e manca quella stabilità promessa poco più di un anno fa. La morte delle riforme è solo uno dei riscontri negativi traibili dal primo anno di mandato di Zelensky. Si aggiungano, infatti, una rinnovata influenza russa sul Paese, il ritorno di figure governative risalenti al periodo Yanukovich e, per l’appunto, le mancate distanze prese con le figure dell’oligarchia. La popolarità di Zelensky sta drasticamente calando, mentre il suo partito, Servant of the people, è ormai diviso. L’oligarca Kolomoisky può esercitare controllo su 20 dei membri parlamentari del partito, alterando la maggioranza parlamentare necessaria per l’approvazione legislativa. Di fatto, il rimescolamento del gabinetto ministeriale è sembrata più una drastica mossa presidenziale per invertire il suo indice di gradimento, tenendo conto che dalle premesse nessuno si sarebbe aspettato questo tipo di scenario dopo un solo anno di mandato.
L’impermeabilità alle pressioni esterne, millantata da Zelesnky, sembra mancare di fronte a queste evidenze. E mentre la conduzione governativa continua a vacillare, l’economia sprofonda: la disoccupazione è raddoppiata al 14 per cento dall’inizio della crisi. E il deficit di bilancio è destinato a triplicare, passando da 3,5 a 11 miliardi di dollari. Urgono risposte e prontezza perché l’Ucraina non sprofondi in una recessione dalla quale farebbe fatica a du uscire, senza le entrate dei profitti del mercato energetico. E in quel caso, neanche i 5 mliardi di dollari promessi dall’IMF salverebbero la situazione.
Luca Mazzacane
Nato a Pavia nel 1994, Dr. in Lingue e Culture Moderne presso Università di Pavia (BA), Dr. in Global Studies presso LUISS Roma, diplomato in Analisi del rischio politico presso l’Istituto Affari Internazionali di Roma; diplomato in Multimedia Journalism presso Deutsche Welle, a Berlino, tirocinante presso Formiche Edizioni. Appassionato di geopolitica, specialmente del mondo Est europeo. Parla fluentemente francese, inglese, russo e spagnolo.
Non c’è più la politica di una volta
26 Set 2024
In libreria dal 20 settembre, per la collana Montesquieu, Fuori di testa. Errori e orrori di politici e comunicatori,…
Perché l’Occidente deve cercare un confronto con Orban
29 Lug 2024
Il sostantivo «cremlinologo» aveva certo molti anni fa una sua funzione, di là dal definire l'etichetta di uno…
La crisi della democrazia negli Stati Uniti
14 Lug 2024
Che America è quella che andrà al voto il 5 novembre 2024 per eleggere il suo presidente? Chi vincerà lo scontro tra…
Viktor Orbán, storia di un autorevole autoritario
9 Lug 2024
Era il primo gennaio 2012 quando la nuova, e subito contestata, Costituzione ungherese entrava in vigore. I segnali di…