Tra i Paesi del Nord Africa, la Tunisia è certamente quello in cui lo scontro tra Al Qaeda e Stato Islamico per la leadership jihadista sta emergendo in modo più evidente. Da un lato gruppi affiliati ad Al Qaeda come la brigata Katiba Okba bin Nafaa o i gruppi Ansar Dine, Al Mourabitoun e il Fronte di Liberazione del Macina, nel marzo 2017 hanno dichiarato ufficialmente la loro fusione in Jama’at Nusrat al-Islam wal Muslimeen (GSIM). Dall’altro, i gruppi Jund al-Khilafah e Ansar al-Sharia sono invece rimasti allineati al Califfato di Abu Bakr Al Baghdadi a cui hanno giurato fedeltà nel 2014.

 

L’influenza di Al Qaeda

Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) è da anni la forza jihadista dominante in Nord Africa. Soprattutto nell’ultimo anno AQIM ha sfruttato il graduale declino dello Stato Islamico nella regione (a eccezione dell’Egitto dove invece il Califfato continua a essere molto attivo soprattutto nella Penisola del Sinai) per tornare in prima linea tanto in Tunisia quanto in Libia e Algeria.

Nonostante lo scorso gennaio i servizi di sicurezza tunisini siano riusciti a eliminare diversi leader qaedisti, tra cui Bilel Kobi (militante di alto livello inviato a riorganizzare Al Qaeda in Tunisia, nonché uomo di fiducia del leader di AQIM Abdelmalek Droukdel) e Bachir Ben Naji (nuovo leader della brigata Okba Ibn Nafaa, branca di AQIM), Al Qaeda tenterà di espandere ulteriormente la propria influenza nel Paese.

 

Il ruolo di ISIS

Ansar Al Sharia in Tunisia rappresenta il più organizzato gruppo salafita nel Paese nordafricano. Il suo cambio di rotta da Al Qaeda verso lo Stato Islamico risale, come detto, al 2014. Ad oggi la figura di riferimento di ISIS in tutto il Nord Africa è il tunisino Jalaluddin al-Tunisi.

Ansar Al Sharia in Tunisia ha una struttura interna composta da tre diverse generazioni di jihadisti tunisini. La prima generazione è quella dei jihadisti affiliatisi ad Al Qaeda negli anni Novanta. La seconda generazione è quella che ha combattuto l’invasione americana in Iraq nel 2003. La terza è quella di cui fanno parte i giovani che hanno partecipato alla Rivoluzione dei Gelsomini del 2010-2011 durante le primavere arabe. Molti dei membri più anziani del gruppo oggi si occupano di incoraggiare i giovani a unirsi alla formazione, predicando e diffondendo l’ideologia jihadista nel Paese.

 

Tunisia tra due fuochi

A facilitare la radicalizzazione islamista in Tunisia sono state negli ultimi anni le cattive condizioni socio-economiche in cui versa Paese e il vuoto politico creatosi nel post regime di Ben Alì. Una situazione, quest’ultima, che ha permesso tanto alle formazioni salafite quanto ai Fratelli Musulmani di ergersi ad attori rilevanti nel riassetto politico del Paese.

In questi anni di cambiamenti e incertezze, Al Qaeda ha offerto un’alternativa alle giovani generazioni più inclini a essere radicalizzate, con opere caritatevoli portate avanti nelle aree più povere del Paese. Una strategia che ha permesso tanto ai qaedisti, quanto a ISIS, di reclutare un ingente numero di nuovi militanti.

 

La strategia dell’Italia

Secondo un recente rapporto redatto dal Counter Terrorism Project dal 2015 circa 6.000 tunisini si sono recati a combattere in Siria, mentre tra i 1.000 e i 1.500 hanno aderito a gruppi jihadisti nella vicina Libia.

La Relazione 2017 del DIS (Dipartimento Informazioni e Sicurezza) conferma i rischi relativi ai foreign fighters tunisini. Tra i soggetti espulsi dall’Italia nell’ultimo anno, la maggior parte proviene infatti dalla Tunisia oltre che da Marocco ed Egitto. Secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero dell’Interno, al marzo 2018 «sono 264 i soggetti gravitanti in ambienti dell’estremismo religioso espulsi, con accompagnamento nel proprio Paese dal 1° gennaio 2015».

Il controllo dei percorsi formativi seguiti dagli imam, la gestione dei centri di culto islamici (ad oggi in Italia sono circa 800), la trasparenza sui finanziamenti diretti ai luoghi di culto, l’integrazione bilaterale, sono alcuni dei punti cardine del “Patto nazionale per un Islam italiano” su cui l’Italia punta molto per contrastare nel modo più efficace possibile le derive estremiste provenienti anche dai Paesi del Nord Africa, e dunque anche dalla Tunisia.